È esistita veramente nella cultura figurativa italiana di fine Ottocento una Belle Époque paragonabile a quella che in Francia, dopo la caduta del Secondo Impero, celebrò i fasti della ricca borghesia emergente?
La rassegna di Palazzo Cucchiari a Carrara, dal titolo “Belle Époque. I pittori italiani della vita moderna. Da Lega e Fattori a Boldini e De Nittis a Nomellini e Balla” (aperta sino al 27 ottobre 2024), lascia intendere come il superamento delle scuole pittoriche regionali, negli anni successivi all’unità del nostro Paese, sia passato, così come in Francia, attraverso la scoperta della città come luogo privilegiato del tempo presente e lo studio della vita contemporanea: delle nuove classi sociali e del ruolo nuovo che veniva assegnato alla donna moderna, chiamata ora a partecipare attivamente ai riti mondani.
Non v’è alcun dubbio che le lunghe trasferte parigine di alcuni dei principali esponenti della pittura italiana e il proficuo contatto con un ambiente artistico in grande fermento, dove, grazie al nuovo verbo impressionista, andava realizzandosi un radicale rinnovamento dello sguardo pittorico, abbiano agito da profondo stimolo sulla scena figurativa della Penisola. In precedenza i maestri toscani della macchia, come quelli della scuola di Resina, avevano eletto il paesaggio rurale come soggetto predominante delle loro indagini sul vero naturale. Ora l’attenzione si rivolge piuttosto agli ambienti in cui si esibisce la mondanità elegante: i teatri, la sale da concerto, i salotti, i parchi e i giardini pubblici, gli stabilimenti balneari: i luoghi di ritrovo in cui si muove l’alta società fin de siècle.
A nutrire l’interesse verso il paesaggio urbano sono, non a caso, les Italiens de Paris: Zandomeneghi (A teatro: uno squisito omaggio a Renoir, giocato sulla soffice leggerezza dei toni pastello), Boldini (La cantante mondana, ripresa attraverso un taglio ardito, fortemente scorciato, alla Degas; Carrozza a Versailles), De Nittis (Appuntamento al bosco di Portici). Alle opere di questi maestri la rassegna affianca lavori di artisti coevi o della generazione successiva: Cammarano (Piazza San Marco), Panerai (Firenze sotto la pioggia), Luigi Gioli (Signore in riva al mare)…
Per contro, la nuova visione della figura femminile è esibita in mostra da un nucleo importante di dipinti che miravano a restituire lo status sociale dell’effigiata e, insieme, a cogliere quieti momenti di intimità domestica, brani di vita quotidiana. Su tutti, due capolavori: l’ormai celeberrima Visita di Lega, un’opera indimenticabile, dall’atmosfera sospesa, memore della grande pittura toscana del Quattrocento; e Sogni di Corcos, un’immagine impostata su tinte delicate, cremose, da un artista che va ormai riconosciuto come uno dei massimi protagonisti del suo tempo (di lui a Carrara sono esposti altri ritratti di squisita fattura: Bonheur, Signora in nero, L’elegante…).
A mettere in scena gli splendori e le eleganze della nostra Belle Époque sono una serie di pittori alla moda (ma dove l’adesione alla moda non è mai compiaciuta maniera, accademismo pompier) che, dismessi i panni e gli atteggiamenti ribellistici della bohème, su cui ancora indugiavano taluni esponenti della scapigliatura, hanno deciso di assecondare i gusti, gli ideali, le aspettative delle classi emergenti, per conquistare quella fama e quel successo mercantile che accademie e istituzioni pubbliche non sono più in grado di dispensare.
Le contraddizioni sociali e i conflitti che emergono nell’Italia postunitaria, le miserevoli condizioni di vita in cui versano le classi più povere e gli emarginati, saranno affrontate allora da alcuni pittori di area divisionista attraverso opere mosse da intenti polemici e di denuncia (Riflessioni di un affamato di Emilio Longoni, Le suffraganti di Angelo Morbelli). Si è voluto vedere in questi lavori, accanto alla vicinanza affettiva, quasi fisica, verso le sofferenze degli ultimi, l’amara disillusione che aveva fatto seguito alle speranze e agli ideali democratici del Risorgimento. Di qui il rinnovato interesse verso le manifestazioni di religiosità popolare (La processione di Pellizza da Volpedo). Di qui il riemergere della tematica orientalista (Donne velate di Moses Levy, Harem di De Nittis).
Intanto la scena figurativa italiana conosce un rinnovamento profondo. Mentre va a poco a poco calando il sipario su quella che era stata l’esaltante stagione della macchia (in mostra Lettera al campo di Fattori, un’opera asciutta, priva di cedimenti alla retorica), emergono personalità, ricerche e proposte pittoriche nuove. Il tocco personalissimo, vaporoso e opulento di Tranquillo Cremona, un artista che, rinunciando alla linea di contorno, mirava a definire le forme unicamente attraverso il colore (Ritratto di donna con guanto), le sperimentazioni luministiche di un Divisionismo ammantato di tensioni e umori di gusto simbolista, la pennellata vibrante e sfrangiata di Mancini (Ricamatrice), l’intonazione liberty delle sculture di Bistolfi (Il profumo) e Troubetzkoy (Mia Moglie), diventano le tappe progressive di un percorso orientato verso uno stile estraneo ai principi del naturalismo, che preannuncia i clamori e i furori delle avanguardie di inizio secolo.
Nicola Rossello