Piero Solari (Chiavari 1910 – Lavagna 1992) è stato allievo di Libero Andreotti a Firenze dal 1928 al 1933. Un’esperienza decisiva, che ha contribuito a orientare la sua produzione scultorea verso la compostezza classica, la solidità, la castigatezza, la pura essenzialità delle forme, in linea con la semplificazione di sapore purista propugnata tra le due guerre dal gruppo Novecento (di cui Andreotti era stato uno dei principali esponenti). Nelle opere pubbliche a cui Solari si è applicato (nel 1944, dopo un soggiorno di alcuni anni a La Spezia, egli era tornato a vivere e lavorare a Chiavari), si è sempre mosso nel solco di una ricerca tutta figurativa, tesa al recupero di forme leggibili e solenni, lontana tanto dalle spericolate sperimentazioni delle avanguardie, quanto dalle pastoie dell’arte accademica.
Imprese monumentali di sapore sostanzialmente classicista, come quelle da lui realizzate a Monleone di Cicagna (Monumento agli emigranti, 1989), a Caperana (Monumento ai Caduti. La Gloria, 1972), a Ne (Monumento ai caduti sul lavoro, 1979), a Portofino (Monumento alla “Stella Maris”, 1966) – per nulla dire dei rilievi in bronzo eseguiti nel 1937 per la porta della parrocchiale di Borzonasca –, conservano una dimensione popolare e intimamente antiretorica, depurata da ogni enfasi celebrativa.
La stessa cifra stilistica è ravvisabile in alcune delle sue opere esposte in questi giorni nella quadreria della Società Economica di Chiavari. Penso in particolare al bozzetto con cui Solari partecipò nel 1934 al concorso internazionale per il monumento a Cristoforo Colombo (la vittoria arrise a Francesco Messina, ma il bozzetto di Solari riscosse unanimi elogi e riconoscimenti). Penso allo Scaricatore (in rassegna sono presenti sia il modello in gesso che l’opera finita in bronzo), una figura che possiede un quieto respiro epico e, insieme, la saldezza e l’equilibrio della statuaria arcaica.
La mostra di Chiavari (visitabile sino all’8 dicembre 2024; fresco ed efficace l’allestimento di Lia Gnecco e Miriam Badalotti) è articolata in tre sezioni tematiche, contraddistinte da colori diversi: il rosso per le figure femminili, il blu per la serie di teste e volti, il verde per le figure maschili; e presenta una quarantina di gessi donati nel 2004 dalla vedova dello scultore alla Società Economica. Sono lavori quasi tutti di piccole dimensioni, che parlano una lingua composita, in cui accenti naturalisti tardo ottocenteschi (Autoritratto, Uomo che ride, Fanciulla dai lunghi capelli, Uomo con baffi) convivono con arcaismi e stilemi primitivisti, dove si avverte un’eco della grande scultura toscana del Tre e Quattrocento (Testa di Circe, Viandante nel vento con bastone, Guerriero stilizzato con arco, Nudo di uomo. Agamennone, Vescovo stilizzato, Donna seduta con libro, Ofelia con collana). Anche in questi gessi Solari guarda ai valori della tradizione classica.
Un ritorno all’antico, il suo, che nel secondo dopoguerra si troverà inevitabilmente a confliggere con il nuovo clima antifigurativo che si era imposto in quegli anni nella scultura postcubista e astratta. A Solari allora andrà riconosciuto il merito di aver saputo proseguire con tenace coerenza di modi la propria ricerca formale, incurante dei richiami e degli allettamenti delle mode del giorno.
Nicola Rossello