Realizzato in modo avventuroso con un budget assai contenuto, Ti meriti un amore segna l’esordio dietro la macchina da presa di Hafsia Herzi, sin qui attrice di sicuro talento.
Ritmato su un respiro leggero e una dolce malinconia, il film si propone come uno studio comportamentale sul tema della rottura amorosa. La Herzi ci parla della difficoltà di spezzare un legame affettivo profondo anche quando l’oggetto del desiderio si sia dimostrato un individuo inaffidabile, meschino, indegno. Lila scopre che Rémi la tradisce. I due litigano furiosamente, ma poi fanno la pace. Lui decide di andare in vacanza da solo in America Latina, dove non tarderà a dare sfogo alla propria natura di inguaribile femminiere. A lei non resta che attendere il suo ritorno, confusa, interrogandosi sul sentimento che ancora la lega a lui, scivolando progressivamente in una sorta di malinconia attonita, di dolente rassegnazione.
Nell’ostinazione “irragionevole” con cui Lila sceglie di restare attaccata al ricordo di Rémi, più ancora che la paura della solitudine, si coglie lo sgomento di chi avverte il vuoto indicibile che succede alla perdita della persona amata. Logorata dal malessere sottile di chi, tra perplessità e incertezze, sente di aver smarrito il proprio equilibrio interiore, Lila faticherà non poco a ritrovare la forza di smettere di pensare al passato e ricominciare a vivere il presente. Per arginare il proprio dolore, prende a frequentare gli amici a lei più cari e si offre, con qualche esitazione, a nuovi incontri e nuove avventure: incontri con personaggi tra loro assai diversi (il dragueur che la corteggia con galanteria festosa; il ragazzo più giovane di lei, a cui manca il coraggio di dichiararsi; il fatuo dongiovanni che si dilegua dopo il primo goffo appuntamento amoroso; la coppia di libertini sessuali che le propone un ménage à trois…); avventure più o meno occasionali, più o meno deludenti, che se non riescono a placare il senso di vuoto da cui Lila si sente attanagliata, le danno modo di conoscere meglio se stessa, i suoi desideri, e di aprirsi a una realtà varia e inesplorata di esperienze amorose. E questo le consentirà infine di trovare in sé il coraggio per chiudere un rapporto ormai privo di prospettive, di cui avverte appieno l’insufficienza.
Con le sue fragilità e contraddizioni, la quieta mestizia del suo sguardo e la sua intima sofferenza, Lila è il centro motore del racconto. Intorno a lei la Herzi concede un adeguato risalto a una folla di personaggi “minori”: sono gli amici e le amiche del cuore dell’eroina, con cui quest’ultima intesse una rete di rapporti salvifici, fondati su un senso forte di fraterna complicità. Tra tutti emerge la figura di Alì, che con la sua irrefrenabile esuberanza arriva talora a rubare la scena alla stessa protagonista. Gli episodi in cui compare Alì conservano una loro arguta, ammaliziata levità, con qualche gustoso risalto umoristico, atto a smussare ogni cupezza di tono. Anche altrove però scrittura e regia sanno conservare una suadente freschezza e morbidità di sguardo, un’amabile fluidità, una malinconia lieve.
Nicola Rossello