Ceramista di formazione (ha frequentato l’Istituto d’Arte per la Ceramica di Faenza), Adriano Leverone (1953-2022) ha sperimentato nella sua carriera un’ampia varietà di tecniche e di materiali: il gres e il bronzo, soprattutto, ma anche la terracotta, l’ardesia, il raku, il granito, il marmo: tecniche e materiali che gli hanno consentito di lavorare sull’equilibrio difficile “tra la levigatezza e la scabrosità delle superfici… tra la rugosità della terra color marrone e lo splendore dello smalto bianco” (Matteo Fochessati). Di particolare impatto alcune sculture di grande formato da lui realizzate nell’entroterra ligure: il Monumento a Cristoforo Colombo di Terrarossa di Moconesi, in bronzo a cera persa; quello, sempre in bronzo, dedicato Ai lavoratori dell’ardesia di Cicagna; nonché il monumento Dalla terra al cielo, per il cimitero dei Pini Storti a Genova Sestri Ponente: opere che, estranee a ogni sospetto di retorica, si posizionano in una dimensione tutta contemporanea, in sintonia con i raggiungimenti dei maestri delle nuove avanguardie europee.
La produzione di Leverone, nella sua fase iniziale, appare ancora ancorata a richiami naturalistici. In particolare, le opere eseguite negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso mirano a “emulare la processualità della natura” (Edoardo Di Mauro) e a riprodurre forme di matrice organica – spugne di mare, madreperle, semi, canne di bambù, tronchi d’albero, frutti – esplorate nei loro valori tattili. Leverone: “Un fiore, un seme, lo sviluppi e ne costruisci un archetipo”.
L’esposizione che la Società Economica di Chiavari dedica in questi giorni all’artista (presso la Galleria Grasso, aperta sino al primo maggio; ma alcuni bronzi sono esposti all’aperto, davanti alla cattedrale della città) dà conto di questa sua prima stagione (Canne bambù, Madreperla, Mela e semi…), così come delle fasi successive avviate a partire dagli anni Novanta: bronzi e gres attraverso cui Leverone compie un significativo mutamento di indirizzo nella sua produzione, caratterizzata ora da composizioni più stilizzate, di un quasi astratto formalismo (ma estranee ai richiami dell’astrazione pura, radicale), dove assumono una particolare rilevanza gli effetti cromatici ottenuti attraverso la lavorazione delle superfici.
A questo punto, l’immaginario di Leverone dà vita a un’iconografia inedita attraverso la figura dell’Armigero, la quale, unitamente alle sue molteplici varianti (la Colonna, il Vicario, il Generale, l’Autorità…), viene quasi ad assumere, attraverso la propria imponenza e gravità sacrale, totemica, le fattezze del severo custode della Legge in un mondo percorso da tensioni crescenti. Le stesse tensioni che è possibile ravvisare in certe composizioni perturbanti e minacciose (Cobra nero, Paura, Piovra…), che sembrano emergere da un cupo universo terrifico, testimonianze dolorose e inquietanti delle contingenze personali che l’artista ebbe ad affrontare negli anni ultimi della sua vita.
Nicola Rossello