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I campioni della pittura a Brescia e Bergamo

Lorenzo Lotto, Madonna con Bambino, San Giovanni Battista e Santa Caterina, olio su tela, 74 x 68 cm., Collezione privata
Lorenzo Lotto, Madonna con Bambino, San Giovanni Battista e Santa Caterina, olio su tela, 74 x 68 cm., Collezione privata

È stato un cameratesco derby sportivo quello che l’esposizione di Palazzo Martinengo (a Brescia, chiusa l’11 giugno scorso), dal titolo “Lotto, Romanino, Moretto, Ceruti. I campioni della pittura a Brescia e Bergamo“, ha voluto far disputare tra la pittura bergamasca e quella bresciana dei secoli in cui le due città furono sottomesse al dominio della Serenissima. Una competizione amichevole, destinata (come ci aveva preannunciato Davide Dotti, il curatore della rassegna) a finire in pareggio, con due squadre in campo in qualche modo “gemelle”, che, muovendosi in parallelo e influenzandosi a vicenda, hanno saputo operare nel XVI secolo una sintesi feconda tra la forte adesione alla verità naturale della tradizione lombarda – quella che Testori definiva “la più solenne affermazione realista dell’intera pittura europea avanti il genio di Caravaggio” – e la fascinazione per la sonora opulenza coloristica della scuola veneta.

A condurre il gioco delle due formazioni erano stati chiamati due campioni di indiscusso prestigio: Lotto, veneziano in trasferta di lavoro a Bergamo, dove fu attivo per oltre un decennio (la sua Madonna con Bambino, San Giovanni Battista e Santa Caterina, struggente nella mestizia dei volti delle figure che emergono dal buio dell’ambiente, è stata l’immagine simbolo della rassegna), e Foppa. Proprio lui: l’”antico Foppa”, il “padre” riconosciuto di quella linea realistica della pittura lombarda che Roberto Longhi mise in luce a suo tempo in un celebre saggio (in mostra la squisita Adorazione del Bambino della chiesa di Santa Maria Assunta di Brescia).

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Dopodiché la rassegna ha schierato in campo una serie di dipinti dei maestri del Rinascimento che operarono sul territorio. Da una parte, Palma il Vecchio (i cui lavori soggiacciono ancora al gusto veneziano: ne fa fede la “sacra conversazione” a mezze figure con Madonna con il Bambino, san Giovanni Battista e la Maddalena, di squisita impronta belliniana: nello schema compositivo, nelle preziose cromie, nella luminosità del paesaggio, nel candore degli incarnati), Ceriani, Previati, Moroni; dall’altro, Romanino (Sansone e Dalila, di rude, capricciosa schiettezza narrativa, ignara di norme classiche, ma memore di ascendenze nordiche), Savoldo (il silente e suggestivo Riposo nella fuga in Egitto, con una straordinaria visuale di Venezia sullo sfondo), Moretto (La visitazione, di austera, intima religiosità, con una bella apertura prospettica su un paesaggio montano inquadrato da una finestra; il bel Ritratto di un conte Martinengo), Gambara.

L’attenzione si è focalizzata sul confronto ravvicinato tra Moretto e Moroni. Il secondo fu allievo del Bonvicino, prima di imboccare una strada autonoma che fece di lui uno dei più felici ritrattisti del secolo. Il suo Ritratto di gentiluomo (il poeta sconosciuto) testimonia di quell’immediatezza e asciuttezza realistica che fu poi della grande ritrattistica bergamasca e bresciana sino alla prima metà del Settecento: di Ceresa, di Fra’ Galgario (ma il suo Ritratto di Elisabetta Piavani Ghidotti, uno dei rarissimi suoi ritratti femminili, si muove già verso certo gusto rococò che si andava imponendo nella cultura figurativa del tempo) e, naturalmente, di Ceruti – quello che Testori definiva l’”Omero dei diseredati”. Tra i lavori del Pitocchetto in mostra, una saporosa Donna con cesta e gatto; Il suonatore di colascione, con un gruppo di personaggi plebei in un interno grigio, disadorno, rischiarato dal lume di una candela; il Ritratto di nobildonna.

Seguivano in rassegna le sezioni dedicate alla pittura barocca, alla natura morta (dove primeggiava, ovviamente, Baschenis con una bella Composizione di strumenti musicali; ma si segnalava altresì L’uomo dalle carni di Rasio, una tela di dichiarata derivazione arciboldesca) e alla pittura di genere (il gustoso Nani che cucinano la polenta di Albrici).

Al piano superiore di Palazzo Martinengo l’impresa espositiva ha proposto alcuni approfondimenti dedicati alle tradizioni gastronomiche locali, alla musica, all’architettura (gli interventi di Marcello Piacentini sul territorio), nonché ai rapporti dei papi Giovanni XXIII e Paolo VI con l’arte contemporanea.

Nicola Rossello

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Fondazione Roma Sapienza, “Arte in luce” X edizione

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