È la Versilia della sua tarda “belle époque” quella che la rassegna di Forte dei Marmi ha inteso rivisitare. La Versilia delle spiagge assolate, inondate dal sole, degli stabilimenti balneari, delle ville e degli alberghi di lusso, che tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del secolo successivo conosce una straordinaria, indimenticabile stagione di turismo d’élite. Viareggio, Forte dei Marmi, Torre del Lago diventano il luogo ameno dove, accanto al bel mondo internazionale che consumava su quei lidi i propri ozi estivi, la crème della cultura italiana – musicisti e poeti, pittori e attrici di successo: D’Annunzio, Pascoli, la Deledda, Puccini, Eleonora Duse… – si dava appuntamento per fare della villeggiatura un’occasione di incontro e di confronto tra discipline artistiche diverse.
La mostra allestita nelle sale del Fortino Leopoldo I, visitabile sino al 5 novembre 2023, concentra la propria ricognizione su tre esponenti di primo piano della scena pittorica italiana di quegli anni, considerati a buon diritto delle glorie locali e dunque pienamente qualificati a definire quel momento storico: Plinio Nomellini, Lorenzo Viani, Moses Levy: tutt’e tre cresciuti alla scuola di Fattori, ma, inquieti e insofferenti verso il dettato macchiaiolo, alla lezione del maestro livornese finirono presto per anteporre, ognuno a proprio modo, le sperimentazioni postimpressioniste delle coeve avanguardie francesi ed europee.
Prima ancora di giungere a Torre del Lago, nel 1902, Nomellini si era lasciato alle spalle i residui del naturalismo toscano per avviare un profondo rinnovamento nel proprio linguaggio figurativo, che lo indurrà ad aderire – complice Pellizza da Volpedo – alle nuove tecniche del divisionismo paesaggistico (al divisionismo sociale e popolare Nomellini si applicherà con altrettanto impegno, con risultati che gli daranno fama e successo). L’incontro con Pascoli, che di Nomellini fu grande amico ed estimatore, lo spingerà a conferire alle sue composizioni una tensione simbolista. Ne conseguirà l’attitudine a condurre le immagini su toni accesi, vibranti, utilizzando una pennellata ondulata e filamentosa (San Rossore, Messidoro, L’ora della cena, Le ore quiete), e pervenendo a sontuose, eccitate esplosioni cromatiche, dove, nell’affastellarsi degli elementi decorativi, l’opulenza della tavolozza mira ad assumere una propria autonomia anche rispetto alle figure (Festa al villaggio, Primavera in Versilia, Cappuccetto rosso).
Per contro, Lorenzo Viani orientò la propria produzione verso uno stile crudo, aspro, congestionato, dissonante, in linea con le contemporanee elaborazioni dell’espressionismo italiano (l’inquietante Moglie del marinaio, Il mulino di Giustagnana, Caffè a Bagni di Lucca, Peritucco col fiocco rosso). Amico di Nomellini, come lui legato al movimento anarchico, Viani fu egli pure interessato a una pittura di ispirazione sociale, tesa a denunciare le miserevoli condizioni di vita della gente del popolo: i marinai, i cavatori di marmo, i contadini che campavano un’esistenza grama accanto ai ricchi villeggianti che affollavano le spiagge versiliesi. Egli stesso proveniva da una famiglia che aveva conosciuto la povertà e la fame. E se Nudo di schiena richiama la stagionatura parigina dell’artista, trascorsa nella più nera indigenza, un’opera come Sposalizio, con quella sfilata di figure rigide, lugubri, spettrali, dai volti lividi, allucinati, conserva un ricordo della maniera di Ensor. Alle atmosfere inquiete di Munch, al senso di angosciato turbamento che trasuda dalle sue composizioni, rimanda Sul molo (In attesa del rientro delle barche): un’affinità avvertibile anche nell’uso antinaturalistico del colore e nel disegno tracciato alla brava delle figure, colte in una sorta di muta rassegnazione. Tornano alla memoria le parole di Vittorio Sgarbi sui personaggi dolenti che popolano i quadri di Viani: “I suoi uomini non dominano la Terra e il Destino, ma li subiscono: sono condannati a quel mare, a quella terra, a quella spiaggia. Non marciano, zoppicano”.
Nato nel 1885 a Tunisi da famiglia benestante ed ebrea, trasferitosi giovanissimo in Toscana per motivi di salute, Moses Levy può essere considerato il cantore dello splendore mondano della Versilia del primo dopoguerra. I suoi dipinti più noti e popolari raffigurano scene di vita estiva sulla spiaggia di Viareggio, vedute balneari di vivace freschezza, capaci di restituire il respiro festante e variopinto dei luoghi rappresentati. Un “gioioso colorista”, come lo ha definito Fernando Mazzocca. Un pittore dalla sensibilità radiosa, luminosa, felice, che ha saputo nutrire le proprie immagini con la violenza abbagliante della calda luce del Mediterraneo. Tra i suoi quadri esposti in mostra, spiccano Folla di sera sul lungomare di Viareggio, dove la spigliatezza immediata e istintiva del pennello restituisce alle silhouette allungate delle signore a passeggio una vaga eco futurista, Meriggio al mare, immagine simbolo della rassegna, Signore sulla spiaggia, Mareggiata, Spiaggia, Maschere, Anna e l’amica, oltre al bel Ritratto di Walter Benzimbra. Nella Signora in rosso al caffè par di coglier un richiamo ai modi di Matisse e dei fauves. Il quadro, che esibisce un aspro impasto cromatico, è del 1938, l’anno delle leggi razziali. Levy sarà costretto a riparare in Francia, a Nizza. Con la sua partenza si chiude per la Versilia una stagione di eleganza e di vitalità artistica e culturale forse irripetibile.
Nicola Rossello