Nella Vendita della primogenitura Gioacchino Assereto affronta una tematica veterotestamentaria. Il soggetto, desunto dalla Genesi, narra di come Esaù, tornato affamato dalla caccia, in cambio di un piatto di lenticchie, abbia accettato di cedere al fratello Giacobbe i propri diritti di primogenitura (un dipinto di Assereto di analogo soggetto è conservato alla Galleria di Palazzo Bianco a Genova). Nella tela qui presa in esame, l’artista adotta uno schema compositivo piuttosto frequente nella sua produzione pittorica: un’inquadratura ravvicinata, tesa a conferire alla scena densità drammatica e immediatezza espressiva (si noti il trattamento delle mani impegnate in un muto ma eloquente dialogo gestuale). Memore, nella sua ricerca, della lezione della pittura lombarda coeva (di Procaccini, in particolare), nonché del linguaggio figurativo di Luigi Borzone (che fu il primo maestro dell’artista), il gusto realistico di Assereto riesce anche qui a mantenersi immune da ogni compiacimento retorico e sentimentale. L’atmosfera complessiva del quadro è dimessa, permeata di quotidiana concretezza. La tavolozza è giocata principalmente sugli ocra e i rossi, e pur ravvivata dai toni più chiari degli incarnati, ma soprattutto, giù in basso a sinistra, dal bianco della tovaglia (si noti inoltre la puntuale definizione della natura morta, con un pane e stoviglie in peltro). Illuminate da una luce interna, le tre figure (i due fratelli e l’anziana madre Rebecca) emergono dal fondo scuro, venendo a comporre un blocco plasticamente compatto, proiettandosi verso il riguardante, costringendolo a una visione partecipe, emozionale.
Pregevole testimonianza della scuola pittorica ligure del Seicento, la tela di Assereto è sicuramente tra i brani di maggior interesse della mostra di Goldfinch Fine Arts in corso in questi giorni a Palazzo Lazzaro e Giacomo Spinola a Genova (visitabile sino al 29 giugno 2024). Una piccola rassegna (dieci opere in tutto), che dà conto delle nuove e più recenti acquisizioni di dipinti, disegni, gessi di maestri genovesi (ma non solo).
Tra le opere esposte, spicca un San Francesco di Bernardo Strozzi, un soggetto affrontato a più riprese dal Cappuccino, con significative variazioni da una versione e l’altra. Basti ricordare la splendida tela della Galleria di Palazzo Rosso a Genova, incentrata sul tema della venerazione del Crocifisso. Qui lo Strozzi ci consegna un’immagine del Santo immerso nella lettura (straordinario il particolare del libro appoggiato su un teschio nell’angolo inferiore destro): immagine di grande intensità, in cui predomina una gamma cromatica assai contenuta, decisamente austera, lontana dalla raffinata esuberanza coloristica di altri suoi lavori.
Più vibrante, festoso e sonoro l’uso del colore nel Salomone e la Regina di Saba di Orazio De Ferrari, una tela ispirata essa pure a un episodio biblico (tratto, in questo caso, dal Primo Libro dei Re), dove il sontuoso risalto materico dei tessuti (lo splendido manto di Salomone) e dei gioielli (i doni che il giovane paggio porge su un vassoio) si accompagna alla serena dolcezza dei volti della Regina e delle sue damigelle. Un particolare curioso: tra le teste che nella zona centrale del quadro emergono solo in parte dall’ombra, s’intravede una strana figura femminile, una creatura dai tratti sinistri, a giudicare dallo sguardo malevolo e astioso che essa getta sugli astanti.
Da segnalare ancora un’Adorazione dei pastori di Salvatore Castiglione, fratello del celebre Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto, alla cui bottega collaborò attivamente (ma la produzione pittorica di Salvatore è tuttora poco documentata). L’opera qui esposta (il suo primo dipinto firmato a noi noto) è una ripresa semplificata del capolavoro del fratello conservato nella chiesa genovese di San Luca. Ricordiamo infine due gustose scene di battaglia riconducibili alla copiosa produzione di Cornelis de Wael, un pittore fiammingo, amico di van Dyck, a lungo attivo in Liguria nella prima metà del Seicento; nonché una fantasiosa veduta dell’olandese Pietro Maurizio Bolckman: una composizione che presenta, in lontananza, il porto di Genova (riconoscibili l’edificio della Lanterna e la basilica di Carignano) e, in primo piano, sui lati, imponenti rovine di pura invenzione, al centro, l’affollata scena di un mercato con una moltitudine di figurette che danzano, suonano, conversano, passeggiano, banchettano, giocano a carte. Il quadro è del 1710 e risente, per quanto riguarda l’aspetto stilistico, della pittura di Pieter Mulier, detto il Tempesta.
Nicola Rossello