Nel suo ultimo diverbio con la madre, subito dopo il ferimento di François, Thierry si rivela. Per la prima volta emergono a chiare lettere le ragioni antiche e inconfessate del suo risentimento verso Pascale. Quest’ultima, ai suoi occhi, è la responsabile dell’esilio del padre e, dunque, il principio del male: la causa prima del disastro familiare e della lacerazione insanabile che ne è conseguita.
Le parole che Therry le rivolge trasudano odio e disprezzo. Luc dovrà allora intervenire per spiegare al figlio le ragioni del fallimento del suo rapporto con la moglie: “Tua madre non è una puttana e io non mi sono fatto fregare. Ci abbiamo provato e non ha funzionato. Tutto qui”. Ma le parole di Luc arrivano troppo tardi, quando il dramma si è ormai consumato e la ferita non è più cicatrizzabile. Da troppo tempo, del resto, la casa di Pascale è popolata da segrete ossessioni e da fantasmi, gli stessi a cui la donna e i figli si sono aggrappati per anni nel tentativo di mettere a tacere i propri sensi di colpa e di giustificare, a se stessi prima ancora che agli altri, il proprio fallimento.
La sceneggiatura del film lavora di fino. E Joachim Lafosse, assecondato dai suoi splendidi interpreti, è riuscito a conferire a ciascuno dei personaggi una straordinaria complessità psicologica: ne ha fatto delle figure autentiche, di carne e sangue vero, ancorché inquiete e inquietanti, e contraddittorie.
Si pensi al personaggio di Thierry. Egli si presenta a tutta prima come un individuo spregevole e meschino, chiuso nel suo ottuso egoismo. L’aggressività che esibisce verso la madre è sconcertante. La sua impudenza ha qualcosa di abietto. Con il fratello sembra condividere la tendenza a dissipare le sue giornate nell’ozio, senza alcun disegno di vita. Anche in lui l’incapacità di imporsi una disciplina trova alimento nella dimensione rassicurante del gioco e dell’adolescenza prolungata. Come François, anche Thierry rifiuta ostinatamente di crescere. Anch’egli non accetta di spezzare i rapporti vischiosi che lo legano ancora al nido familiare per aprirsi al mondo e accedere al ruolo di adulto.
Thierry è certamente tutto questo. Ma è anche qualcosa di più.
Dietro i suoi modi odiosi, dietro la sua rabbia, s’indovina la ferita segreta. Thierry soffre l’assenza di una figura paterna capace di farsi garante di moralità, di rappresentare un’autorità etica superiore. Egli ha cercato di compensare questo vuoto stabilendo con il fratello un rapporto di complicità, un legame morboso, fondato sulla comune venerazione per la figura assente, il Padre perduto. La scelta di battersi con le unghie e con i denti per impedire che la dimora paterna sia venduta nasce in lui dal desiderio di garantirsi uno spazio di immodificabilità (di regressione), un guscio protettivo entro cui contenere le proprie ossessioni e alimentare il lutto. Ma la casa, per Thierry, rappresenta altresì un luogo simbolico. Come il denaro che il genitore elargisce ai figli e di cui la madre si appropria arbitrariamente per soddisfare i propri capricci, la casa è il dono che Thierry e François hanno ricevuto dal padre a risarcimento del suo distacco. Pascale, che intende disfarsene, minaccia di compiere, agli occhi del figlio, prima ancora che un atto illegittimo, un gesto sacrilego, intollerabile. Di qui la reazione rabbiosa di Thierry. Di qui la sua aggressività, utilizzata, a conti fatti, come un meccanismo difensivo.
Per contro, Pascale, la mater dolorosa, la vittima sacrificale condannata dal bieco egoismo dei figli a un percorso di afflizione, si rivela per molti versi una figura ambigua e contorta, non innocente, dominata da equivoci sensi di colpa e bisognosa sempre del sostegno maschile. Si noti la sua masochistica acquiescenza all’atteggiamento derisorio dei gemelli, i quali non perdono mai l’occasione per deriderla crudelmente, sghignazzando sul suo abbigliamento, sull’acconciatura dei capelli, sulla goffaggine dei suoi spasimanti. Alle loro battute insultanti, Pascale non reagisce: patisce in silenzio l’umiliazione e il dileggio quasi si trattasse, per lei, di espiare una giusta condanna. Allo stesso modo, le esitazioni e le paure che essa manifesta nel far valere le proprie ragioni non possono non creare disagio nello spettatore. Pascale è, di fatto, una persona debole e insicura, che non ha la forza di praticare i propri desideri, del tutto incapace di operare quelle scelte che le consentirebbero di sottrarsi alla soffocante tutela dei figli e di vivere una vita sua. Essa mente in continuazione nel tentativo patetico di nascondere le proprie intenzioni o la relazione che ha stabilito con l’uomo che ama. Agisce come qualcuno che ha qualcosa di inconfessato da farsi perdonare. Come i suoi figli, anche Pascale non ha il coraggio di guardare in faccia la realtà e di riconoscersi per quella che è.
Non vi è dubbio infatti che Jan, nel suo vigliacco egoismo, veda giusto quando, avvertendo nella donna titubanze sospette, la esorta a far chiarezza con se stessa e ad assumersi le sue responsabilità. Jan è l’elemento estraneo la cui entrata in scena impone un’accelerazione ai conflitti. Il regista costringe Kris Cuppens, che è un attore di lingua fiamminga, a recitare in un francese un po’ stentato, con forte accento straniero, proprio per sottolineare l’estraneità del personaggio al contesto in cui si trova ad agire e di cui arriva a far emergere le contraddizioni.
Sennonché il programma di riscatto che Jan propone a Pascale e agli stessi figli di lei si rivela impraticabile: la donna, nel suo avvilimento, non è in grado di dargli ascolto; e per Thierry il nuovo compagno della madre rappresenta, semplicemente, l’intruso che è venuto a usurpare il letto paterno.
La fuga di Jan, l’allontanamento di Pascale non risolvono le dinamiche conflittuali. Rimasti padroni del territorio, Thierry e François ingaggiano tra loro una feroce guerra fratricida che avrà un esito drammatico.
Lafosse ha saputo orchestrare con ammirevole sapienza il suo racconto. Proprietà privata è una pellicola costruita su un implacabile crescendo di tensione. Nelle scene conviviali, soprattutto (Lafosse insiste su queste scene durante le quali i gemelli esibiscono una voracità animalesca: “La nutrizione è la libido, è la pulsione vitale”, precisa il regista. “I due fratelli non smettono mai di mangiare e la madre non smette mai di nutrirli: è un’immagine significativa di ciò che accade all’interno di questa famiglia. Si divorano”), il clima si fa spesso insostenibile. I commensali arrivano a dirsi cose terribili, di una straordinaria crudezza. I dialoghi conoscono impennate di virulenza, climax vertiginosi (Pascale ai figli, alludendo all’ex marito: “Se diventate come lui, io mi ammazzo! Mi ammazzo!”. E in un’altra occasione: “Tu vuoi che io crepi qui dentro, è vero? Vuoi la mia morte?”). A ogni nuovo scontro i personaggi spingono sempre più oltre il loro furore verbale. Ma poi, ogni volta, la tensione si acquieta, come per incanto, per ritornare a riemergere più forte nella scena successiva. Si ha come l’impressione che agisca tra i contendenti una sorta di tacito accordo, teso a rinviare sine die il momento della resa dei conti.
Lo scontro fratricida comporta un mutamento di registro stilistico. Per buona parte del film la drammaturgia si realizza, sul piano formale, attraverso lunghi piani-sequenza, per lo più a inquadratura fissa, tesi a circoscrivere lo spazio-prigione entro cui i personaggi sono chiamati a battersi (“Volevo che ogni personaggio fosse costretto a uscire dall’inquadratura, se voleva allontanarsi. L’inquadratura è come la casa che i personaggi non riescono a lasciare”). Dopo il ferimento di François il regista privilegia l’uso della macchina a mano e insiste sui primi piani sul volto di Thierry per restituirci l’angosciosa disperazione del ragazzo. Nella scena conclusiva interviene per la prima volta la musica di accompagnamento. La ripresa in camera car che si diparte dalla casa di Pascale (finalmente inquadrata per intero) per perdersi lungo una strada di campagna, è un esplicito omaggio alla sequenza finale de La gueule ouverte di Maurice Pialat.
Nicola Rossello
Scheda film
Titolo: Proprietà privata
Regia: Joachim Lafosse
Cast: Isabelle Huppert, Jérémie Rénier, Yannick Rénier, Patrick Descamps, Kris Cuppens, Raphaëlle Lubansu, Didier de Neck, Dirk Tuypens, Sabine Riche
Durata: 92 minuti
Genere: Drammatico
Distribuzione: BIM
Data di uscita in Italia: Marzo 2007