Il cinema di Agnès Jaoui ha acquisito ormai una sua riconoscibilità e si presenta allo spettatore come un corpus compatto e coerente, fedele a una sua cifra stilistica, con una propria linea di ricerca fondata su motivi tematici e procedimenti espressivi insistiti e ossessivi. Nelle quattro pellicole sinora da lei dirette, come pure in quelle sceneggiate in coppia con Jean-Pierre Bacri, è agevole rinvenire una continuità di tratti. La sua produzione si muove costantemente entro un campo circoscritto, un genere – la commedia di costume – i cui dispositivi sono utilizzati dall’autrice per condurre un discorso malizioso e disincantato sulle piccole e grandi bizzarrie della buona società francese (parigina) dei nostri giorni. È un cinema, quello della Jaoui, ancorato a strutture narrative tradizionali, fondato innanzi tutto su copioni di solida fattura (il sodalizio Jaoui-Bacri nasce sulla scrittura di sceneggiature di alto profilo: per Resnais, Klapisch, Muyl), script ben articolati, costruiti intorno a situazioni curiose, e capaci di dar vita, tra dialoghi scintillanti e arguti e humour fulminante, a un campionario di personaggi e tipi originali e sapidi, individui fragili e talora un po’ meschini, caratteri monomani, inceppati da fissazioni, nevrosi, convulsioni ossessive e regressive, che li rendono incapaci di uscire da se stessi.
Al tempo stesso, la messa in scena della Jaoui si caratterizza come una messa in scena dal respiro “classico”, basata su un accademismo programmatico. Nulla è enfatizzato. La regia è sobria, essenziale, efficace: una regia che non prevede soluzioni linguistiche audaci, né invenzioni o prodezze formali (la scelta di rappresentare, con pudicizia, la minuta quotidianità non concede troppo spazio a opzioni stilistiche radicali), ma che sa, nondimeno, conferire al racconto un’esemplare fluidità di ritmo, un nitore e una limpidezza di accenti esemplari.
In Quando meno te lo aspetti ritroviamo i motivi consueti alle precedenti pellicole dell’autrice: personaggi, situazioni, vicende, una drammaturgia, un’ambientazione ormai familiari e riconoscibili. Anche questo nuovo film ripropone, come impianto narrativo, il racconto a mosaico, il quale, attraverso un montaggio affilato, intreccia una polifonia di voci e di psicologie, studiati entro contesti sociali tra loro assai differenti (ma prevale la media borghesia intellettuale e cittadina: la connotazione urbana, in questi film, è essenziale). L’intenzione della Jaoui è quella di gettare uno sguardo lucido e sorridente sull’”aria del tempo”: sui riti, le consuetudini, le convenzioni della nostra società; sulla minuta quotidianità delle situazioni normali, banali; sui piccoli e grandi dilemmi della vita di tutti i giorni: le relazioni umane, i rapporti famigliari, d’amore, d’amicizia, i problemi economici, lavorativi, esistenziali.
Qui l’attenzione degli sceneggiatori si rivolge, in particolare, all’attitudine che abbiamo un po’ tutti di credere in qualcosa – in noi stessi, negli altri, in Dio – che viene a incidere, in positivo o in negativo, sulle nostre esistenze: credenze che, in circostanze differenti, riterremmo ingenue o irrazionali: favole, superstizioni, convincimenti religiosi. Ecco allora la candida fanciulla, Laura, che, convinta dapprima di aver riconosciuto il proprio principe azzurro, si lascia poi sedurre da un tenebroso dongiovanni in cui s’illude d’aver trovato l’amore assoluto. Ecco Pierre, uomo maturo e di solide convinzioni razionaliste, precipitato nella più cupa malinconia perché ossessionato da una predizione luttuosa (anni addietro una veggente gli aveva annunciato la data della sua morte, e ora quella data si avvicina). C’è chi, come Marianne, benché non più giovanissima, sogna ancora di poter diventare una grande attrice, e intanto si adatta a dirigere laboratori teatrali con i bambini. E c’è chi, come Sandro, giovane compositore di talento, si sente ormai prossimo al successo, ma intanto non si avvede di chi gli è accanto e si strugge d’amore per lui. O chi, come la figlioletta di Marianne, sente il bisogno di affidarsi a Dio per placare le paure indicibili che la separazione dei genitori ha fatto nascere nel suo piccolo cuore.
Le più disparate credenze, dunque, così come vengono vissute nelle diverse stagioni della vita, passando dai timori e tremori dell’età infantile all’esuberanza sconsiderata e spavalda della giovinezza, all’amarezza di chi, ormai adulto, va smarrendo le proprie illusioni e sente crescere in sé la paura di invecchiare (Fanfan, la madre di Laura, costretta a ricorrere alla chirurgia plastica per frenare il proprio disfacimento fisico) e di morire.
Se la ricognizione sui costumi contemporanei appartiene già alla filmografia dell’autrice, l’aspetto più innovativo di Quanto meno te lo aspetti è il trattamento riservato a questa congerie di elementi tematici. La Jaoui ha scelto di ibridare i personaggi e le situazioni della commedia di costume con una serie di elementi riconducibili a un genere, la fiaba, di cui la cineasta intende offrire una propria personalissima lettura. Il film prende allora a prestito motivi, figure, scenari propri della favola di matrice popolare o di ascendenza letteraria (il principe azzurro, il lupo cattivo, il castello, la capanna nel bosco) e inzuppa il tutto con una cascata di citazioni e ammiccamenti più o meno espliciti alle vicende di Cenerentola, Cappuccetto rosso, etc., venendo a comporre un puzzle di immagini e richiami che conservano però qualcosa di troppo calcolato e insistito.
La scelta di ricorrere a questi stereotipi folklorici comporta inevitabilmente aspetti di novità sul piano espressivo. La sceneggiatura qui è meno rifinita, meno lavorata, più rapida e sommaria: certe situazioni comiche non vengono sfruttate sino in fondo (le incertezze di Marianne al volante dell’automobile); certe figure (i genitori di Laura) sono solo abbozzate (il copione soffre per l’eccessivo affollamento di personaggi, non tutti delineati a dovere); l’attenzione al tessuto dialogico, da sempre punto di forza del cinema della Jaoui, viene superata a favore di un più libero gioco recitativo, che perviene talora a esiti decisamente esilaranti (con Bacri, in particolare), ma che talora sfiora l’artificio.
Nel contempo la materia fiabesca è svuotata della propria carica “nera” e perturbante (la Jaoui non è Tim Burton) e ricondotta su tonalità briose, luminose e rassicuranti. A conti fatti, il proposito di Jaoui-Bacri è quello di destreggiarsi con i miti e gli archetipi della favola garantendo nondimeno al film un andamento da vaudeville frizzante, scanzonato e leggero, dove ogni oltranza emotiva possa essere decantata entro una cornice lieve e avvolgente di riposata normalità borghese.
Una scelta che potrà forse apparire sin troppo conciliante e accomodante per un film che, volendo mettere in discussione il classico “e vissero tutti felici e contenti” delle favole, si rivela poi alquanto indulgente verso i personaggi. Personaggi che hanno il torto, è vero, di lasciarsi irretire da sogni fasulli o paure irragionevoli, labili fantasmi generati dalle loro stesse mani. Ma la Jaoui sembra aver acquisito con gli anni una superiore saggezza che le consente di riconoscere la debolezza di tutto ciò che è umano. E così arriva a concedere ai propri personaggi, in particolare ai personaggi più giovani, che hanno la fortuna di avere ancora tutta la vita dinnanzi a sé, la possibilità di correggere i loro errori. Le favole, si sa, descrivevano una serie di prove attraverso cui l’eroe accedeva a un’identità matura. Anche per Laura o per Sandro, si tratta di rinunciare alle ingannevoli chimere e alle titubanze della loro età e scoprire la realtà della vita: la vita come essa è veramente: un’avventura incerta, difficile, e meravigliosa.
Nicola Rossello
Scheda film
Titolo: Quando meno te lo aspetti
Regia: Agnès Jaoui
Cast: Jean Pierre Bacri, Agnès Jaoui, Agathe Bonitzer, Arthur Dupont, Valérie Crouzet, Dominique Valadié, Benjamin Biolay, Laurent Poitrenaux, Béatrice Rosen, Didier Sandre, Nina Meurisse, Clément Roussier
Durata: 112 minuti
Genere: Commedia
Distribuzione: Lucky Red
Data di uscita: 6 giugno 2013