Nel vasto campione delle esperienze artistiche contemporanee quella di Nicola Rotiroti merita attenzione innanzitutto per la scelta del campo d’osservazione, inusuale, almeno nella pittura, da cui deriva la scelta di soggetti connessi ad eventi dalla forte carica emozionale. Non solo, ma se ricordiamo il vasto e complesso panorama che ci è stato offerto nelle esposizioni regionali del Padiglione Italia alla 54° Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia nel 2011, sicuramente la sua partecipazione ci ha emozionato sia per l’offerta di elementi originali nello stile e sia per le riflessioni sulla condizione umana che ci suggerisce.
Quando parlo di campo di osservazione mi riferisco al punto di posizionamento dell’artista osservatore e a quello dell’elemento osservato in situazioni ed eventi dove il ruolo determinante per la trasmissione del messaggio pittorico è assunto dall’acqua (compreso il suo significato allegorico), l’elemento liquido che ha reso possibile il formarsi del brodo primordiale da cui ha avuto origine la vita e quindi l’uomo, del quale quella stessa acqua mostra i limiti e la precarietà.
Le scene subacquee realizzate dal pennello di Nicola Rotiroti sono immagini dove a farla da padrone sono gli effetti del fenomeno della diffrazione, che linguisticamente può tradursi in una distorsione del significante e quindi del significato.
Un fenomeno affascinante, la diffrazione, che si verifica nella propagazione della luce, di onde sonore ed anche di onde materiali (ad esempio di quelle marine lungo una costa). Un fenomeno che riferito alle particelle materiali come gli elettroni o i neutroni è uno dei maggiori punti di forza della meccanica quantistica che, come abbiamo fatto notare per il linguaggio vocale in uno scritto attinente alla glottobiologia, rivisitata alla luce del principio di complementarietà di Bohr, secondo il quale il modello ondulatorio e corpuscolare dovrebbero essere considerati come due descrizioni ugualmente legittime e necessarie dei fenomeni della microfisica, va ad escludere il tradizionale dualismo onda-corpuscolo.
Tutto vibra nell’universo e quindi anche nell’acqua e il prodotto di queste vibrazioni è rappresentato magistralmente da Nicola Rotiroti. Immagini in acque calme o in acque agitate, flutti e bollicine. Immagini che ci richiamano accadimenti umani volontari o involontari. Ma c’è di più: tutto quanto egli rappresenta richiama le nostre ancestrali paure susseguenti al nostro abbandono e al nostro superamento di quella che nella nostra evoluzione filogenetica viene chiamata fase anfibia.
Nei suoi quadri Rotiroti mostra indiscussa competenza, immaginativa, grande perizia pittorica e cromatica e non ci fa rimpiangere lo sviluppo della tecnica fotografica. I suoi contenuti sono chiari e leggibili stimoli di crescita culturale. La sua arte non è “kitsch”.
Certo la pittura di questo nostro artista ci dice dell’importanza della riemersione dell’idea che l’opera d’arte deve suscitare delle emozioni nell’osservatore, che deve essere in grado di farci prendere coscienza della nostra condizione umana e che deve influenzare i comportamenti di ogni uomo e della collettività.
In chiusura voglio ricordare un particolare importante: fino al 2010 molte opere di Rotiroti sottolineano nei titoli (Caparanda, Lassami, Gustatillo, Capusupa, On ti viju, Mo ti khicu, Tenami, Friju, Sciusciarola, A peda, ecc.) l’affetto che egli porta alla Calabria. Nicola Rotiroti è nato a Catanzaro nel 1973 da padre calabrese e madre francese e ha frequentato l’Accademia di Belle Arti della sua città natale dove si è diplomato nel 1996.
Rinaldo Longo