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Benedetto Croce nel 150° anniversario della nascita

Benedetto CroceCome per altre ricorrenze, anche questa, che segna il centocinquantesimo della nascita di Benedetto Croce, filosofo, storico, critico, ci mette a fronte di un fiorir di tante iniziative, belle senz’altro, ma, spesso, accademiche o settoriali. Si fondano – come dire – sul senso della celebrazione e trascurano, di fatto, il messaggio pedagogico, sul quale, a nostro avviso, dovrebbero germogliare e, poi, permeare il sapere e la vita tutta. Non sfugge a questo vezzo lo scenario di eventi, che si dispiegano, oggi, per don Benedetto.
Tracciamo una linea noi, noi, che, d’altra parte, non abbiamo fregio onorifico né impianto di strumenti e ci poniamo al di qua, tra quelli – e, però, tanti – che negli anni dello studio severo attinsero, complici manuali e antologie, alla parola pensata e al magistero del Croce.

C’è un punto dal quale partire: il pensatore, quantunque laborioso ed oltremodo diligente, sol di rado e per breve tempo, trova tra le carte sue il sollievo del riposo. Il lavoro, presto, lo reclama. Lo reclama la ricerca e, con questa, l’analisi, la comparazione, la sintesi. Tale il pensiero di Benedetto Croce, il suo substrato, che lo iscrive d’ufficio alla squadra della più nobile intelligenza passata e a quella, che da lui muoverà per naturale figliolanza. In tempo di sovrabbondanza di cattedre d’ogni colore, questo incipit potrebbe servire a far chiarezza di non pochi abbagli ed altrettante invasioni di campo.

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Onestà e coraggio nel suo dire, dunque. Denotazioni non molto diffuse intorno a lui ed ancor rare oggi, allorquando l’Arte, per povertà di chi se ne sente portatore, sembra trovare cittadinanza in siti impropri e in carte, che di nulla hanno il profumo. ‘Autonomia dell’arte‘ sentenziò il maestro, per la sua specificità. Autonomia da qualsiasi altra disciplina, ma anche e soprattutto dal calcolo economico e dal disegno d’una sistemazione istituzionale.
E così anche per la Poesia, che sempre più scivola sul terreno del dialogo e della conversazione e sempre più si avvicina ad una prosa, per altro poco sorvegliata e, talvolta, banale. Lui, il Croce, lui che arrivò a separare la poesia dalla non-poesia, cosa scriverebbe, oggi, al proposito? Metodo di certo rigido il suo – quello che faceva risiedere la liricità in un’intuizione pura, scevra da manipolazioni intellettuali o di mestiere – metodo che produsse stroncature e rivoluzioni critiche, e che, però, servì anche a circoscrivere il campo della liricità. Oggi più di ieri non torni vano il richiamo al segno irripetibile, che dovrebbe sostanziare la poesia vera, quella che immediatamente apprende un contenuto sensibile e misteriosamente lo trasfonde in un sentimento di cosmicità.

Ultima annotazione. Firmò Benedetto Croce il Manifesto degli intellettuali antifascisti. Lo fece non per moda e pagò con la condanna all’isolamento. C’era semplicemente una incompatibilità alla quale obbedire. Contestualmente, però, avvisò che non bastava contrapporsi. Bisognava indagare e comprendere come sul proscenio d’Italia del primo Novecento si fossero realizzati certi fenomeni. Resti persuasiva per l’oggi la sua lezione.

Giulio Iudicissa

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