Il rischio di realizzare un santino oleografico ed edificante era dietro l’angolo (quanti fiumi di retorica predicatoria e dimostrativa in certe rievocazioni letterarie e cinematografiche della guerra partigiana!). Grazie al cielo il giovane regista ligure Marco Gandolfo non ha inteso fornire della figura di Bisagno una lettura in chiave leggendaria, assumendo i modi della declamazione agiografica. Il ritratto del giovane comandante partigiano che viene fuori dal suo film è tracciato con competenza e discrezione – una discrezione che non esclude tuttavia un’empatia profonda -, e mira soprattutto a restituire, dell’eroe, la dimensione di una maturità precoce e sofferta, che ha saputo però ben conservare dentro di sé la parte ardente e favolosa della giovinezza.
Un ritratto che si compone di un incastro di materiali d’archivio (spezzoni di filmati d’epoca, della Fondazione Ansaldo in particolare), fotografie, lettere dello stesso Bisagno, riprese effettuate sui luoghi dove si consumarono le gesta della sua formazione partigiana (il Ramaceto, Montagnola, Timossi, Allegrezze…) e soprattutto testimonianze: i ricordi di quanti ebbero la ventura di partecipare a quelle gesta: figure i cui nomi conservano ancor oggi qualcosa di favoloso: Scrivia, Bleck, Caronte, Bisturi, Bill, Nutti, Dedo, Lesta, Marco II, Nuvola…
Alcuni di essi oggi non sono più. Come non è più tra noi Elena Bono. L’immagine della poetessa che rende un commosso omaggio a Bisagno inanellando a fatica le parole (al tempo dell’intervista era già molto malata e prossima alla morte), è forse la cosa più struggente del film. Della Bono sono le parole definitive su quel giovane eroe mite e gentile: “Aveva fermezza e dolcezza. Bisagno era un giusto”.
Il capo partigiano che, opponendosi agli alti comandi, rifiutava di sacrificare i suoi uomini mandandoli allo sbaraglio in azioni dissennate, era lo stesso che aveva dato l’ordine di non fucilare i fascisti fatti prigionieri. Per Bisagno la sacralità della vita restava un valore irrinunciabile anche in tempo di guerra. La pellicola mette bene in risalto come in lui agisse una profonda educazione religiosa, la stessa che lo induceva al rispetto di precise regole morali. Nel suo cattolicesimo v’era qualcosa di rigoroso e appassionato, di intransigente, che fa pensare alla fede cristiana di un Mauriac o di un Bernanos. “La verità che cercava Bisagno era la verità che rende liberi”, precisa la Bono. Di qui i contrasti con le formazioni comuniste delle Brigate Garibaldi, all’interno delle quali egli rifiutava di inquadrare il suo reparto. Insofferente a ogni intromissione di carattere politico, Bisagno aveva denunciato le continue ingerenze dei commissari rossi mandati in montagna per fare propaganda tra i partigiani (si delineano, nel film, i lividi ritratti di alcuni dirigenti comunisti: su tutti, lo slavo Miro, un individuo spregevole e abietto, ambizioso e incapace, del tutto privo di senso morale).
Alla fine del conflitto Bisagno decide di opporsi agli omicidi sistematici – delitti dettati spesso da rancori personali o da odio di classe – a cui si dedicava nel Genovesato la canaglia staliniana. La sua presa di posizione avrà un prezzo. Bisagno diviene un personaggio scomodo, un irrecuperabile. È fatto oggetto di ripetute minacce. La sua giovane vita avrà fine il 21 maggio 1945 con un misterioso incidente stradale, uno di quegli strani incidenti stradali, forse, con cui, in quegli anni, ci si sbarazzava di chi non accettava di sottomettersi al nuovo ordine politico. “Era al di sopra dei partiti – è il commento della Bono -, e così è stato vittima del gioco dei partiti”.
Nicola Rossello
Scheda film
Titolo: Bisagno
Regia: Marco Gandolfo
Cast: Elena Bono, Gino Botto, Aldo Gastaldi, Dino Lunetti, Teresa Gastaldi, Claudio Floris, Luigi Ferrea, Attilio Mistura, Luigi Conio, Silvio Fontanelli, Rosa Biggi, Giuseppe Balduzzi, Pietro Isola
Genere: Documentario
Durata: 67 minuti
Uscita: 2015
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