È dedicata a Vincenzo Agnetti (1926–1981), tra i maggiori esponenti dell’arte concettuale degli anni Settanta, la mostra aperta al pubblico dal 4 luglio al 24 settembre 2017 a Palazzo Reale di Milano.
L’esposizione, dal titolo “ Agnetti. A cent’anni da adesso”, invita attraverso un’analisi critica e “sentimentale”, a riscoprire l’universo artistico dell’artista milanese cogliendone l’originalità, il rigore critico, la poetica e la contemporaneità.
In mostra più di cento opere, realizzate tra il 1967 e il 1981, che nel loro insieme restituiscono un’immagine chiara del percorso dell’artista: la sua tensione poetica e visionaria, l’interesse per l’analisi dei processi creativi e per l’arte come statuto, il suo ruolo di investigatore linguistico e di sovvertitore dei meccanismi del potere, inclusi quelli della parola scritta, detta, tradotta in immagini limpide ed evocative, perché per Agnetti tutto è linguaggio: “Immagini e parole fanno parte di un unico pensiero. A volte la pausa, la punteggiatura è realizzata dalle immagini a volte invece è la scrittura stessa”.
«Con questo appuntamento riscopriremo uno dei più grandi artisti concettuali – afferma Marco Meneguzzo –. Il suo concettualismo è diverso da quello anglosassone, americano, e anche da quello europeo; quello di Vincenzo Agnetti ha un risvolto metafisico e letterario, pieno della nostra cultura, vorrei dire mediterraneo, se oggi questo aggettivo non apparisse riduttivo».
In mostra sono presenti i lavori più noti di Vincenzo Agnetti:
– “Quando mi vidi non c’ero”, il suo Autoritratto: feltro grigio inciso a fuoco e colorato in compagnia di altri feltri, “Ritratti e Paesaggi”.
– Gli Assiomi: bacheliti nere incise con colore a nitro bianco che, attraverso paradossi, tautologie, sintesi di pensiero, sono il contrappunto analitico della sua produzione.
– Il “Libro dimenticato a Memoria”, l’opera che maggiormente sintetizza la sua ricerca sulla memoria e la dimenticanza.
– La “Macchina Drogata”, la calcolatrice Divisumma 14 della Olivetti i cui numeri sono stati sostituiti con altrettante lettere dell’alfabeto, facendo seguire ad ogni consonante una vocale in modo che tutte le parole ottenute casualmente dalle operazioni, anche se prive di senso logico, fossero comunque supporto di intonazione, così che da semplice calcolatrice incapacitata a svolgere la sua funzione diventa produttrice di opere d’arte dal forte impatto pittorico e iconico. E accanto alla macchina drogata troviamo infatti una parte della sua produzione: semiosi, comete, dissolvenze e l’istallazione dell’”Apocalisse”.
Tra i lavori esposti si può ammirare la stanza dedicata all’”Amleto Politico”: 60 bandiere di tutte le nazioni del mondo che contornano il palco da cui l’Amleto di Agnetti arringa la folla, riuscendo a far parlare i numeri come fossero un discorso.
Nel percorso trovano posto molti dei suoi lavori realizzati utilizzando la fotografia: alcuni più noti come l’”Autotelefonata”, “Tutta la Storia dell’Arte in questi tre lavori”, “l’Età media di A”; e altri meno noti quali “Architettura tradotta per tutti i popoli” e altri quasi mai visti come “Riserva di caccia”.
Sull’uso della fotografia sono esposte opere frutto di procedimenti alterati e interrotti che esplicitamente alludono al rapporto mezzo-messaggio. Le “Photo-graffie”, carte fotografiche esposte alla luce e graffiate a raffigurare i paesaggi della mente occupano un posto particolare: sono tra gli ultimi lavori e tra essi troviamo “Le Stagioni”, accompagnate dalla poesia “I dicitori”, che inaugura un nuovo corso di Agnetti, più lirico e poetico.
Non poteva mancare una stanza dedicata all’istallazione “4 titoli surplace”: quattro grandi sculture i cui titoli sono rappresentati da fotografie che sono quattro scatti di momenti della sua performance “La lettera perduta”. Una di queste è l’immagine della mostra.
Il sodalizio con alcuni grandi artisti per i quali ha scritto e con i quali ha collaborato – tra cui Manzoni, Castellani, Melotti, Claudio Parmiggiani, Gianni Colombo e Paolo Scheggi – ha portato tra l’altro alla realizzazione de “il Trono”, lavoro a quattro mani di grande forza visiva e concettuale, in mostra a Palazzo Reale per la prima volta dopo quasi 50 anni dalla sua prima esposizione a Roma.
“Agnetti. A cent’anni da adesso” è promossa e prodotta da Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale e Archivio Vincenzo Agnetti ed è curata da Marco Meneguzzo insieme all’Archivio Vincenzo Agnetti.