In quella che fu la stagione gloriosa della British Film Renaissance, Terence Davies – il regista più eminente del gruppo assieme a Peter Greenaway – firmò una serie di pellicole incentrate sul legame tra esperienza biografica e creazione artistica. La matrice dominante della sua produzione era l’esigenza imperiosa di rievocare gli snodi irrisolti della propria vicenda umana, dando corpo ai luoghi vividi e mitici della memoria. Trilogy, Voci lontane… sempre presenti, Il lungo giorno finisce, esibendo un impeccabile rigore di scrittura, intendevano proporsi come proustiana scoperta degli strati più profondi del tempo perduto, tormentoso recupero del passato, esplorazione minuziosa e compiaciuta dei sotterranei depositi della memoria e dei suoi meccanismi associativi.
In seguito, dopo il suo trasferimento a Hollywood, si sono registrati profondi mutamenti nel percorso artistico dell’autore. I suoi film hanno talora faticato a trovare un tono personale e convincente. Si pensi a La casa della gioia, una rilettura accurata ma forse un po’ troppo giudiziosa del romanzo di Edith Wharton, dove si delineava il profilo di una donna non sposata, e dunque priva di un’identità sociale riconosciuta, costretta a misurarsi con il rigido clima perbenista dell’America del primo Novecento.
Con A quiet passion ecco invece riemergere come per incanto la scrittura improntata a rigore austero, purezza e semplicità delle forme, che aveva caratterizzato la sua produzione d’antan. Qui, dove pure pare di poter cogliere un’eco della lezione di certo cinema portoghese, Davies s’impone di adottare un linguaggio sobrio, severo, lineare: rifiuto dell’emotività stilistica; riprese lunghe a seguire i dialoghi tra i personaggi; prevalenza delle inquadrature ravvicinate e dei piani fissi, tesi a carpire i moti dell’anima. Una scelta di austerità che diviene il correlativo linguistico del rigore morale dell’eroina.
A quiet passion – un biopic non convenzionale sulla poetessa americana Emily Dickinson – disegna il ritratto di una donna libera e intransigente, che mal sopportava il soffocante ambiente puritano del New England dell’Ottocento in cui essa visse un’esistenza appartata e quasi solitaria. Un’esistenza vissuta in pianta stabile nello spazio un po’ compresso della dimora paterna: un nido rassicurante e protettivo, tutto raccolto nella calda intimità dei legami del sangue, dove Emily ebbe modo di coltivare poche amicizie (con una ragazza della sua età, eccentrica e anticonformista, che si allontanerà da lei per convolare a giuste nozze; con un pastore protestante sposato, di cui la Dickinson s’invaghirà senza alcuna speranza) e dove, nelle ore notturne, la pratica della poesia diventerà per lei un atto di affrancamento e di affermazione di sé.
Davies ripercorre le tappe più significative della vita della Dickinson adottando un tempo lento e fluido e conferendo al racconto coloriture stilistiche diverse. Si parte dagli accenti briosi e quasi sbarazzini con cui, nella prima mezzora del film, si dà voce allo scontento di una giovane donna ancora alla ricerca di sé, incapace di rassegnarsi a un’esistenza piatta e incolore. Si descrivono poi gli anni della maturità di Emily (e qui il tono si fa meno polemico e meno acceso), per pervenire al tempo della malattia e della morte, dove dominano accenti amari e dolenti, ma dove pure lo sguardo dell’autore conserva lucidità e vigore.
Quanti hanno saputo amare il Davies degli anni migliori non rimarranno delusi.
Nicola Rossello
Scheda film
Titolo: A quiet passion
Regia: Terence Davies
Cast: Cynthia Nixon, Jennifer Ehle, Keith Carradine, Catherine Bailey, Jodhi May, Emma Bell, Duncan Duff, Joanna Bacon, Eric Loren
Durata: 126 minuti
Genere: Biografico
Distribuzione: Satine Film
Data di uscita: 14 giugno 2018
A quiet passion – Guarda il trailer