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Rotta contraria, un film di Stefano Grossi – Recensione

Rotta contraria

Partirei dalle considerazioni che da un po’ di anni in qua Goffredo Fofi va ripetendo a proposito della scena cinematografica italiana contemporanea (le sue opinioni sono largamente condivisibili).
Fofi opera una netta distinzione tra le opere di finzione e i film a carattere documentario. Alle prime vengono attribuite tutte le nefandezze (si fa eccezione, certo, per la produzione non ufficiale, non “romana”, marginale e periferica: Ciprì e Maresco, Munzi, Garrone, Martone, Capuano e pochi altri). Sui secondi il giudizio è più lusinghiero. Diverse le cause che fanno della fiction “romana” una produzione anemica, incolore. Qui indicheremo le due principali:
a) l’inveterata difficoltà, in sede di sceneggiatura, di elaborare storie appassionanti, con un respiro solido, convincente (è un problema che il cinema italiano dei nostri giorni condivide con il romanzo, a cui Fofi contrappone la vitalità della graphic novel);
b) l’incapacità di leggere e restituire il presente: di ragionare sui problemi della complessa modernità in cui si vive; di pensare la nostra storia e la nostra cultura.

Il documentario italiano, per contro, sente come irrinunciabile la necessità di misurarsi con la realtà contemporanea e mostra curiosità e attenzione verso fenomeni, scenari sociali, personaggi anche insoliti e meno raccontati. Per quanto poco conosciuto e poco studiato (quanti sono i film di non fiction che raggiungono le nostre sale?), il cinema del reale ha alle spalle una tradizione gloriosa (De Seta, Olmi, Emmer…), e ciò gli ha consentito di far emergere, anche in tempi recenti, nomi nuovi, di sicuro interesse: Pietro Marcello (il suo La bocca del lupo è il film più bello girato a Genova dopo Le mura di Malapaga), Lina Marazzi, Elisabetta Sgarbi, Gianfranco Rosi e altri ancora. Tutte figure (alcune delle quali poi approdate alla fiction con risultati alterni) accomunate dalla volontà di vedere e dire la contemporaneità operando su una varietà di temi, progetti, stili, registri.

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Varietà che è presente nella produzione di Stefano Grossi, il quale si è misurato sin qui su argomenti disparati, passando dalla memoria storica delle lotte operaie nella Torino degli anni Settanta alle malefatte che si nascondono dietro il mondo del pallone, dalla controcultura rock al ritratto del cineasta tunisino Nouri Bouzid. Varietà che si ritrova in questo suo Rotta contraria.

Rotta contraria è costruito sull’assemblaggio di materiali di provenienza diversa: interviste; filmati di repertorio; brani di scrittori albanesi letti da attori italiani; riprese, spesso in notturna, della città di Tirana; inserti simbolici (i cani che abbaiano furiosamente cercando di fuggire dall’edificio in cui sono rinchiusi). Il tono varia dal sarcastico (i funerali di Enver Hoxha) al partecipe (i migranti italiani che parlano della loro disillusione).

Il titolo del film allude al fenomeno recente dell’emigrazione “al rovescio” degli Italiani in Albania: un viaggio in direzione inversa rispetto all’esodo di massa compiuto nei primi anni Novanta dagli Albanesi verso le coste della Puglia. Meta privilegiata di molti giovani italiani è Tirana, una città che in questi ultimi anni ha conosciuto un notevole sviluppo che ne ha modificato profondamente il volto. Qui il mercato del lavoro nel settore dell’edilizia e dei call center è in grande espansione, e le opportunità di impiego non mancano (diversa la situazione, ci vien fatto sapere, nelle zone rurali dell’Albania, dove miseria e arretratezza permangono e ancora forte è il miraggio di un altrove possibile). Tra gli intervistati c’è però chi nega che si possa parlare di miracolo economico e sostiene che quello che si è oggi creato nel Paese delle aquile è un sistema oligarchico e nepotistico, fondato sul privilegio, dove la libertà è garantita solo in parte. Uscita fuori a fatica da quarant’anni di dittatura, l’Albania ha avviato una ristrutturazione politica cercando, come ha potuto, di adeguarsi al modello di sviluppo produttivo e allo stile di vita occidentali. Di fatto, travolta dalle logiche del nuovo ordine globale, ha finito per ricrearne in peggio gli aspetti deteriori, le disfunzioni, le storture: corruzione della classe dirigente, crescita furiosa dei problemi dell’inquinamento, disuguaglianze economiche sempre più profonde.

Con le sue grandi catene di call center dove lavorano migliaia di operatori albanesi e italiani, Tirana resta in ogni caso, una sorta di isola felice. È interessante però notare come gli Albanesi impiegati nel settore considerino l’esperienza nei call center uno sbocco professionale soddisfacente (un operatore, ci viene detto, arriva a guadagnare più di un impiegato di banca e questo gli permette di mantenere un tenore di vita dignitoso). Per contro gli Italiani intervistati non riescono a mascherare un senso di frustrazione, di smarrimento. Sono ragazzi e ragazze, quasi tutti provenienti dal nostro Mezzogiorno, che hanno scelto di trasferirsi in Albania alla ricerca di una stabilità economica che l’Italia non sembra più in grado di offrire. Ora essi avvertono lo scollamento tra le aspirazioni che coltivavano in passato e l’esistenza priva di prospettive e di speranze in cui sono precipitati. Nelle loro parole si avverte la mancanza di fiducia nel futuro. La cinepresa di Grossi, di fronte ai loro sguardi segnati da amarezza repressa e rassegnazione, assume un tono dimesso, pudico, rispettoso, discreto, evitando la retorica del patetismo. È il momento più intenso del film.

Nicola Rossello

Rotta contraria – Scheda film

Titolo: Rotta contraria
Regia: Stefano Grossi
Genere: Documentario
Durata: 76 min
Lingua: italiano

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